
"Mandanice. Lat. Mandanicis. Sic. Mandanici. (V.D.) Paese detto
Mandanichium nei diplomi del Re Ruggiero e comunemente nei pubblici registri.
Strappollo ai Saraceni il conte Ruggiero, e lo decorò di nobile monastero di
ordine basiliano sotto il titolo di S.M. Annunziata; l’appella il Pirri
munitissimo borgo sito a 24 m. da Messina, e presso il fiume del medesimo nome.
L’enumera Arezzo trai paesi disposti nei monti sopra lo stretto, ma la vera
distanza tra Messina e Mandanice non sorpassa le 20 m. . E dalla spiaggia non
se ne contano che 4. Confermando il Re Ruggiero con suo decreto del 1145 il
diploma del Conte, in cui si descrivono i confini delle terre appartenentisi al
cenobio, conferì al primo abate Filadelfio ogni dritto sui terrazzani che volle
esenti sì dal Vescovo diocesano che dai ministri laici di Messina, il che fu
poi confermato dal Re Martino: poiché nessuno, dice, oltre l’abate può
stabilirvi officiali. Dopo i monaci assunti ad Abati, sino al 1475 fu affidato
il cenobio ai chierici secolari, i quali pagano le rendite congruenti per la
cosiddetta mensa alla comunità dell’ordine medesimo ed allo Abate regolare:
occupano essi però il XXV posto nel Parlamento del Regno, e si hanno soggette
le chiese di San Niccola del Celso, e di Santa Maria di Ballomero colla cura
delle anime, nella fiumara di Mandanice. Il tempio maggiore del paese sacro a
San Domenico e diretto dall’Arciprete si ha 4 Chiese filiali e si comprende
nella diocesi dell’Archimandrita di Messina. Erano la case 270 sotto l’Imp.
Carlo V e 1030 le anime verso la fine del suo secolo. Contavansi nel 1652 431
case e 1442 abitanti; 330 case nel 1713 e 1146 anime decresciute ultimamente a 1009.
Comprendesi il paese nella comarca di Taormina, ne va soggetto all’istruttor
militare, e si ha un territorio ricco in vino, seta, biade, adattissimo a
pingui pascoli ed a boschi per mantenimento dei porci e delle pecore. Sta in
39° di long. e 38° di lat. . Non tralascio aver letto nel censo di Federico del
1320: Berlingherio de Oriolis per Raccuja ed il casale Mandanichi onze 40,
donde potrebbe ricavarsi essersi appartenuto il dominio di Mandanici nel secolo
XIV alla nobile famiglia di Orioles, ma essendo perdurato il paese nel
vassallaggio dell’Abate da tempo di Ruggiero, direi essere incorsa menda nel
censo, poiché dista molto altronde da Raccuglia e siede verso le parti
aquilonari della Valle. Il fiume di Mandanice che manca quasi di acque nell’està,
pei torrenti che vengon giù dalle colline s’ingrossa nell’inverno, e scaricasi
nello stretto appresso il Fiumedinisi.”
Vito Maria Amico è stato uno
storico, letterato e religioso siciliano, nato a Catania il 15 febbraio 1697 ed
ivi deceduto il 5 dicembre 1762. A sedici anni entrò nel monastero di San
Nicolò l'Arena di Catania. A trentaquattro anni divenne priore della comunità
monastica, ed in seguito fu nominato priore di tutti i monasteri benedettini di
Messina, Militello, Castelbuono e Monreale. Ebbe poi la cattedra di storia
civile all'Università di Catania, e fondò la prima biblioteca pubblica
catanese. Carlo di Borbone lo nominò nel 1751 con atto ufficiale storiografo
regio. Fu priore di 25 diversi monasteri e fu anche nominato abate nel 1757. Il
suo più noto lavoro è il Lexicon topographicum Siculum (Panormi, 1757-1760), un
dizionario topografico che raccoglie informazioni su tutte le località della
Sicilia, diviso in tre tomi. Tra il 1855 e il 1858 è stata pubblicata una
edizione tradotta e annotata da Gioacchino Di Marzo (da cui è tratta la voce
riguardante Mandanici e trascritta sopra). Le informazioni fornite dall’Amico
sono di vario genere; di carattere storico, geografico, demografico e
amministrativo. La Mandanici, o per meglio dire Mandànice, di cui parla Vito
Amico è quella della prima metà del ‘700, periodo di profondi mutamenti.
Inizialmente l’autore fa esplicito riferimento al monastero, fondato nel 1100
dal conte Ruggero dopo la cacciata degli arabi da quello che Rocco Pirri
definiva “vicus munitissimus” cioè villaggio fortificato. Un secondo importante
riferimento è alla conferma del privilegio di Ruggero I fatta da Ruggero II a
Messina nel 1145. Il monastero, con il documento sopra citato, aveva confermati
e definiti i precisi confini della sua proprietà, e inoltre continuava ad
essere autocefalo. Infatti si conferiva al primo abate Filadelfio ogni diritto
sui “terrazzani” cioè sugli abitanti del territorio assegnato al monastero, che
era molto vasto e più o meno coincide, con qualche cambiamento, al territorio
odierno del comune di Mandanici. Tra i diritti dell’Abate vi era ad esempio
quello di “portare o condurre o far condurre uomini per abitare liberi in detta
tenuta”, oppure quello di giudicare chi commetteva reati. Chi sottostava al
monastero era esente sia dal potere del vescovo che dal potere degli
amministratori messinesi. L’Amico omette di dire che nel 1220 il cenobio viene
assoggettato all’archimandritato del SS. Salvatore. Nel 1430 il re Martino di
Sicilia confermava i privilegi sopra spiegati con apposita bolla indirizzata al
frate Barchinofrio. Fino al 1475 l’abbazia appartenne ai chierici secolari (per
chierici secolari s’intendono i presbiteri che non appartengono ad un ordine
religioso), i quali occupavano anche un posto nel parlamento del Regno, al
monastero appartenevano le grange di Santa Maria Ballomerio (che secondo alcuni
storici è la chiesa di San Sebastiano, dirimpettaia dell’abitato di Pagliara, e
“Ballomerio” sarebbe una variante derivata dal nome greco Polimenon, tuttavia
dai resoconti della visita regia di mons. Giovanni Angelo De Ciocchis avvenuta
nel settembre 1741 risulterebbe una probabile attribuzione alla chiesa della
SS. Trinità in Mandanici) e di San Niccola del Celso (San Nicola di Sicaminò).
Dai dati demografici risulta un calo della popolazione avvenuto tra la fine del
‘600 e l’inizio del ‘700. Precisamente: nel 1652 vi erano 1442 abitanti che nel
1713 divennero 1146. Il Pirri ne riporta 1058 nel 1730 (cfr. Armando Carpo “Mandanici
memorie da non perdere” p.24 dove sono riportati i dati della popolazione in un
arco di tempo che va dal 1570 al 2011). Il calo registrato potrebbe essere
dovuto alla rivoluzione di Messina del 1674, durante la quale si scontrarono i “Merri”
e i “Marvizzi”, rispettivamente favorevoli al governo spagnolo e ai francesi.
Mandanici in quella situazione si schierò contro gli spagnoli, per cui fu
saccheggiato. Vito Amico cita anche la chiesa madre, la quale è intitolata a
San Domenico. È noto a tutti come l’odierna intitolazione sia a Santa Domenica,
questo potrebbe quindi essere un errore di traduzione oppure di trascrizione,
inoltre nel periodo in cui viene redatto il Lexicon Topographicum Siculum, il
clero di Mandanici era già stato autorizzato con apposito indulto della Sacra
Congregazione dei Riti datato 15 febbraio 1727 a celebrare la festività di
Santa Domenica V. e M. con tutti gli onori liturgici del caso.