Nel 1812 il parlamento
siciliano aveva abolito i feudi, e aveva sciolto i diritti promiscui su di
essi. In data 18 luglio 1842 il tecnico
De Liguoro aveva provveduto ad assegnare al comune per usi civici (stabiliti
con sentenza del 24 febbraio 1836) metà del fondo della Zaffera, e aveva anche
nominato i periti Bruno, Barbera e Trifirò, i quali avrebbero dovuto stabilire
i limiti del territorio assegnato e il suo valore. Fu decretato che la
superficie da assegnare corrispondesse a 256 salme (are 458) con un valore di
7704 ducati. Il rappresentante della commenda abbaziale del monastero, che
sottostava all’allora abate Vincenzo Lo Vecchio, comunicò di non essere
d’accordo, giudicando eccessivo il conferimento al comune. La Gran Corte dei
Conti di Palermo revocò il provvedimento e nominò un nuovo tecnico, che stabilì
una nuova estensione della terra da concedere al comune, di circa 151 salme
(are 270). Ma questa decisione fu ancora una volta contrastata dai
rappresentanti dell’abbazia, per le divergenze riscontrate si propose infatti
una riunione di tutti i tecnici che avevano proposto le precedenti soluzioni,
cosa che non avvenne mai. Nel frattempo l’abbazia i suoi territori vennero
incamerati al demanio, come si diceva precedentemente, e nel 1890 la questione
passò nelle mani del demanio stesso, asse ecclesiastico. La giunta comunale
premeva per la nomina di un ingegnere che stabilisse l’esatta estensione del
fondo. Fu inviato l’ing. Pompeo Menghetti, il quale con apposita relazione
stabiliva in ettari 395 la superficie, con valore di 18400 lire. Il comune
presentò ricorso, ma il prefetto di Messina confermò ugualmente quanto
decretato da Menghetti, condannando il comune di Mandanici al pagamento di una
sanzione. L’acquisizione della Zaffara era molto tenuta in considerazione,
infatti esistono molti atti deliberativi prodotti in seguito alle sedute del
consiglio comunale (nel periodo che va dal 1901 al 1903). Alla seduta del 3
marzo 1901 avevano partecipato i consiglieri: Barbera Sebastiano, Scuderi
Zuccaro Giuseppe, Scuderi Santi, Spadaro Aristide, Longo Giuseppe, Scuderi
Giuseppe, Candido Giuseppe, Butà Pietro e Caminiti Agatino. Il comune si oppose
anche al Prefetto, che nel frattempo aveva ordinato la delimitazione del
confine tra il territorio che sarebbe dovuto rimanere di proprietà dello stato
e la parte che invece sarebbe andata al comune. I rappresentanti del demanio
vennero infatti denunciati al regio commissario per gli affari demaniali, e il
comune offrì “a strasatto” 2500 lire per l’acquisto di tre quarti del fondo che
invece, secondo le precedenti decisioni, sarebbe rimasto al demanio. Il 10
luglio 1903 tale proposta venne accettata dal consiglio di Stato e quindi dalla
commissione provinciale dell’asse ecclesiastico. Il 12 agosto 1903 avvenne la
stipula della transazione nell’ufficio del registro di Alì marina alla presenza
del notaio don Pietro Mirone, mentre le parti erano rappresentate da Mario Di
Stefano per il Demanio e da Giuseppe Scuderi sindaco di Mandanici.