domenica 27 febbraio 2022

Foto d'epoca

Il nostro Duomo di Santa Domenica, come si presentava  all'occhio del visitatore nel lontano 1982. Foto di Filippo Manuli

sabato 26 febbraio 2022

Mandanici: la storia del toponimo

 Trattare l’origine del toponimo Mandanici risulta abbastanza complicato, sono infatti necessarie argomentazioni molto articolate e complesse. È da precisare che dopo il 1100, cioè l’anno in cui venne fondata dal Conte Ruggero (figlio di Tancredi d’Altavilla e fratello di Roberto il Guiscardo) l’abbazia di Santa Maria Annunziata il cui primo abate fu Filadelfio, il toponimo in questione abbia subito molti mutamenti. Occorre dire che i principali cambiamenti sono da circoscrivere al periodo della dominazione araba, che va dall’827 (anno in cui gli arabi sbarcarono a Capo Granitola, nei pressi di Mazara del Vallo) al 1091, cioè la data della caduta di Noto, conquistata dai Normanni. La fonte più antica che ci permette di iniziare la trattazione è “Il libro di Ruggero” (1154), redatto dal geografo e viaggiatore arabo Muhammad al-Idrisi. Al-Idrisi fu invitato a Palermo dal re Ruggero II (successore di Ruggero I nominato sopra) e realizzò una raccolta di carte geografiche note con il nome “Il libro di Ruggero” appunto. Il testo, una vera e propria descrizione del mondo allora conosciuto, è diviso in “Clima” (capitoli). Nella parte relativa ai paesi dell’entroterra, del quarto compartimento del secondo clima, egli scrive: “Facendoci indietro ancora diciamo che da Messina alla Rocca di Rametta la distanza è di nove miglia, da quest’ultima a Monteforte quattro in direzione sud, da Monteforte a Milazzo quindici verso nord e quindici per Miqush verso sud. Tale località è posta tra Messina e Taormina e vi si accede per sentieri impervi. Locadi dista da Tripi quindici miglia con deviazione nord-ovest; da Monteforte a Tripi corrono invece venti miglia verso ovest”. Passiamo adesso ad un’altra fonte, la quale riporta un importante dettaglio: la “Storia dei Musulmani in Sicilia” (1854-1872) dello storico palermitano Michele Amari (1806-1889). Quest’ultimo, parlando della caduta di Taormina del 902, scrive: “Lieve opera fu alla caduta di Taormina di ridurre il rimanente del Val Demone. Ibrahim venduti i prigioni e il bottino, e spartito il prezzo tra i suoi, mandava quattro forti schiere; una con il nipote Ziyadat Allah a Mico o Vico, fortissimo castello dentro terra, non lungi, credo io, dal Capo Scaletta”. Il problema sta nell’individuare Mico o Vico. Lo storico non riesce a individuarlo in maniera precisa, indica alcune possibili soluzioni in “Artalia, o Pozzolo Superiore, o Giampilieri”. Il nome gli pare di origine latina o greca, Vicus, Miuxos, Minxas o anche Nixos. Egli ipotizza che Mandánici sarebbe formato da Мανδρα (Mandra) e Νιχοξ (Nixos), ma la detta distanza da Monteforte non corrisponde. Nel 1880 vocalizzò “Miqush” e concluse che quella fortezza fosse situata vicino al monte Miconio, oggi chiamato Dinnammare. Nel III volume della prima opera citata egli scrive però che Miqus corrisponde a Mandanici o Fiumedinisi. Lo storico Rosario Gregorio (1753-1809) scrive: “A Monteforti quoque ad Nicosh versus meridiem V milia passuum. Sita est autem Nikos inter Messinam, et Tabermin, et via quae ducit ad ipsam est asperrima” (Da Monteforte a Nicosh ci sono 5 miglia di distanza verso meridione. Inoltre Nicosh è posto tra Messina e Taormina e la strada che conduce allo stesso è impervia). Domenico Puzzolo Sigillo (18731962) suggerisce che Mandanici sia formato dall’unione di “Mandra” e “Nici”, riferito alla città di Nissa (ipotesi molto simile a quanto già detto dall’Amari). Per Sigillo il termine “Mandra” sarebbe da collegare alla fondazione dell’abbazia e va inteso con il significato spirituale di unione di anime. “Nici” è accostabile a Fiumedinisi. Per questo storico quindi i centri di Mandanici e Fiumedinisi, data la comune terminazione dei toponimi, sono accomunati dalla stessa origine. La tesi del Puzzolo Sigillo è accreditata dalla bolla inviata dal papa Bonifacio VIII nel 1306 all’arcivescovo e archimandrita di Messina e riguardante una contesa circa il possesso di alcune terre di “Mandanisi”. Il tedesco prof. Gerhard Rolfs indica, nell’isola di Eubea (a Nord di Atene), la presenza di un centro chiamato Mandanikà; nome che per Rolfs significa possesso di un Mandanos o della famiglia Mandanos. È quindi linguistica la motivazione per cui il sopra citato Gregorio usa indifferentemente “Nicosh” e “Nikos”, e Nicosh dovrebbe essere la mutazione araba di Nikos. L’abate Rocco Pirri (1577-1651), nell’opera “Sicilia Sacra” (1643), riporta il testo del diploma di fondazione del monastero di “Sanctae Mariae Annuntiatae Mandanichii”, dove Mandanichii è il genitivo singolare di Mandanichium. Papa Onorio III nel 1220 scrive “Santa Maria de Mandanichi”. Pirri, riferendosi a Pietro Ansalone (citato in un privilegio di papa Giulio III del 1553) lo indica come “Abbas Mandaniciensis”. Nel privilegio del 1553 l’abbazia è detta di Mandanicio, codesta denominazione nel primo Cinquecento era già molto usata. Nelle collettorie pontificie degli anni 1275-1280 viene usato il toponimo Mandanich. Il centro collinare viene denominato anche “Mandach” e “Mandache”. Tommaso Fazzello (1498-1570) nella sua “Storia di Sicilia” lo identifica come Mandanisio. Nel 1282 re Pietro D’Aragona richiedeva alla “universitate mandaniche” trentuno arcieri per scortare il fodro da Taormina a Messina. Gli abati Ninfo I e Ninfo II, rispettivamente sesto e undicesimo archimandrita di Messina, nei secoli XIII e XIV si riferiscono a Mandanici con la denominazione Мανδαντον (Mandanion). In una lettera del 1403 scritta da re Martino I il giovane si parla del “casale Mandanichi”. Negli anni 1538-1569 Mandaniche, e soprattutto Mandanichi, si legge con regolarità negli atti dei processi in lingua spagnola della Santa Inquisizione. Tra il 1741 e il 1743 mons. Giovanni Angelo De Ciocchis, visitatore regio, compie per conto di Carlo III una generale ricognizione di benefici e beni religiosi soggetti a regio patronato, all’interno dell’intero territorio siciliano. Nelle “Sacrae regiae visitationis per Siciliam” in riferimento alla visita del 27 settembre 1741 il De Ciocchis parla di Mandanichi. Molti autori ottocenteschi riportano il nome “Mandanice”, un esempio è Federico Gravina che nel 1880 lo cita nel supplemento al blasone in Sicilia. Nell’ultimo decennio dell’800 G. La Valle, dell’Università di Messina, nell’opera riguardante i giacimenti minerari nella provincia di Messina, utilizza “Mandanici” e allega una carta topografica ufficiale del Regno nella quale si legge il nuovo nome. Il notaio Giuseppe Scuderi (residente nell’abitazione sita in Mandanici all’incrocio delle quattro strade, Corso Mazzullo N.56) in un suo atto del 27/10/1834 italianizzò Mandanice in Mandanici. Il professore mandanicese Giuseppe Ricciardi (1007-1920 /10-04-2002) ipotizzava che il toponimo derivasse da Mandranike, cioè mandrie vittoriose (dedicate alla dea Nike). Ipotesi derivata dal fatto che il territorio di Mandanici è ricco di risorse idriche e quindi favoriva la pastorizia; ritornando all’iniziale dilemma sull’individuazione di Mico o Vico, si potrebbe perciò ipotizzare che data la presenza di un’importante risorsa per un insediamento umano quale è l’acqua, il posto potrebbe essere proprio Mandanici.

G.C.

Il feudo della Zaffera

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